Il Legislatore smemorato
Pubblicato su Sciare, dicembre 2021
Povero smemorato Legislatore, togliendo il vino agli sciatori ha contraddetto se stesso e il suo alto ufficio. Quello di, attraverso la norma, rendere normale, cioè regolata ma anche libera, misurata ma anche vivace, pacifica ma anche gaia, volta al presente ma anche memore della saggezza del passato, la convivenza civile. Anche quella sulle piste, ovviamente.
È bene ricordare, infatti, che la nostra antica civiltà, di cui il Legislatore è un cardine fondamentale, nasce proprio dal vino. Ne abbiamo prova certa da alcune tavolette d’argilla emerse fra le rovine di Nippur, un territorio a sud dell’attuale Bagdad, datate tra la fine IV millennio e l’inizio del III avanti Cristo. In esse si racconta che il selvaggio Enkidu, che viveva sulle montagne cibandosi di carne cruda e bacche, bevendo acqua dei ruscelli proprio come le bestie che vivevano con lui, viene a far parte della civiltà attraverso il pane, “bastone della vita”, e il vino, “che è l’uso del paese”. Si legge che Enkidu “mangiò finché fu sazio e bevve vini forti, sette calici. Divenne allegro, il suo cuore esultò e il suo viso brillò. Lisciò i peli arruffati del suo corpo e si unse con olio, Enkidu era diventato uomo”.
Uomo inteso come unione di natura e di cultura. Alla prima, infatti, appartiene l’acqua, che serve per dissetarsi e risponde a un bisogno fisiologico, alla seconda appartiene il vino, che è un bere consapevole, un bere colto, che risponde a un bisogno dell’anima. Attraverso Enkidu, che da selvaggio si è fatto uomo, il pane e il vino divennero cibo e bevanda anche degli altri abitatori delle impervie montagne. Questo fece sì che la nostra civiltà si estendesse in ogni luogo, arricchendosi, in seguito, delle peculiarità di ogni luogo.
Così in montagna il bere ha assunto significati diversi. C’è il bere climatico: grappa o bombardino o brûlé, se gela; vino rosso, se fa freddo; bianco, se la temperatura è attorno allo zero; assolutamente birra nello sci di primavera. C’è il bere fraternizzante. In montagna, che è un luogo in sé impervio e solitario, si beve per stare in compagnia, coltivare l’amicizia e la solidarietà alpina, in nome della quale tutti aiutano tutti. Kant considerava il piacere dello stare a tavola un’espressione privilegiata di umanizzazione. C’è, infine, il bere filosofico. In montagna si beve per parlare con passione e profondità della curva perfetta, che nessuno ancora è riuscito a compiere.
Vietare il vino agli sciatori, è un atto di una barbarie assoluta. Mille e mille e mille anni di civiltà, in un lampo, cancellati. Bastava vietare lo stato d’ebbrezza in pista, non il bere. L’eccesso, non il buon bere secondo misura. Povero smemorato Legislatore che con le sue poco ponderate disposizioni fa regredire gli sciatori allo stato degli incivili selvaggi quando opposto dovrebbe essere il suo fine.
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