Il santo laico

Pubblicato su Sportivissimo, luglio 2017

Come promesso, questo è per il mio amico Roberto Caccaro, che ha un’idea chiara su cosa significhi essere “campione” tanto che gli piace che sia conosciuta, magari anche discussa. Per uno come Roberto, che ha compiuto 80 anni, la gran parte dei quali vissuti nell’associazionismo sportivo, il campione è la vittoria che si fa persona. Non c’è nulla di più alto, di più bello, di più nobile della vittoria e di chi la consegue. Anch’io condivido questo pensiero. Lo sport è una pratica complessa. S’inizia da piccoli. Prima nei club, gestiti da tanti appassionati volontari come Roberto, poi si entra nelle squadre federali e si diventa atleti professionisti. Chi arriva a vincere non è solo un talento, ma è uno che ha lavorato sodo, confrontandosi con altri che hanno fatto il suo stesso percorso. La vittoria, poi, è la dimostrazione che l’uomo è un essere che sa migliorarsi sia come individuo, sia come specie, dato che di anno in anno i record sono sempre migliori. E poi la vittoria non è un’opinione. Essa si misura in tempo o in punti. La vittoria è un dato oggettivo. Chi vince una medaglia d’oro alle Olimpiadi è il migliore di tutti in quella data disciplina. Nemmeno il premio Nobel ha un valore altrettanto assoluto come un titolo olimpico.
Per tutto questo la figura del campione è alta: egli è, come dice il suo nome, il “combattente in campo” che, dando tutto se stesso, è stato il più bravo di tutti; è bella: la sua è una storia di sacrifici propri, ma anche di sacrifici altrui, quelle persone amiche che non meno di lui si sono spese alla causa; è nobile: il campione è un numero uno della specie umana, della quale è la prova provata della sua capacità di miglioramento.
È chiaro, a questo punto, che il campione è anche un esempio. Per Roberto la parola “campione” significa proprio questo “fare da modello di comportamento” per gli altri. Quindi il campione non va imitato solo nelle sue qualità tecniche, né solo nel suo sapersi sacrificare per il risultato, ma proprio come esempio assoluto di comportamento morale. Per i giovani innanzitutto, che lo vedono come un idolo, ma in genere per chiunque aspiri al proprio miglioramento, il campione dev’essere un modello. Un santo laico, potremmo definirlo, esagerando.
Ma i campioni di oggi sono consapevoli di tutto ciò? Sanno che il loro ruolo impone questa altissima responsabilità etica? Secondo noi, pochi tra coloro che sono chiamati da tv e giornali “campioni” sono da ritenersi tali. Magari hanno vinto, sicuramente hanno ingaggi notevoli, fans e vita da star, ma ben pochi hanno la consapevolezza di essere esempi di comportamento eletto. Basta vedere come molti, soprattutto calciatori, reagiscono a quanto accade loro in campo. Sono capaci di fare scenate per nulla, provocando, volutamente, non solo il rivale, ma anche chi li sta a guardare.
Nella storia dello sci i grandi campioni degli anni Quaranta, dopo aver terminato la loro attività agonistica, hanno tutti svolto la professione di maestri di sci. Sono passati dai campi di gara al campetto scuola. Dall’essere i più bravi di tutti, a essere esempi per tutti sia del fare le curve sia, soprattutto, dello stile da tenersi in montagna. Grazie a questa loro umiltà, lo sci è diventato da pratica per pochi giovani arditi a sport di massa. Così dovrebbe sempre essere. Attraverso il buon esempio dei campioni, far crescere tutto il movimento sportivo. Perché, come sostiene Roberto, il campione dello sport è, innanzitutto, un modello di comportamento che ci aiuta a farci migliorare come persone.
Con Alberto Tomba a Chiampo
Il 15 novembre prossimo lo Sci Club Chiampo del presidentissimo Francesco Zecchin, in occasione del suo quarantennale, ha invitato Alberto Tomba a Chiampo. Sarà una serata magica, durante la quale ricorderemo una tra le pagine più belle dello sci Azzurro. Alberto ci farà rivivere le grandi emozioni delle sue vittorie come solo lui sa fare. Ma ne riparleremo più ampiamente nel numero di Sportivissimo di settembre. Intanto prendete nota.

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