Selezioni gigante

Pubblicato su Sciare Magazine, aprile 2017

In questo periodo di fine stagione, chi scia ancora con un certo impegno sono i “selezionandi”. Quelli che aspirando a diventare Maestri di Sci e che, per accedere al corso di formazione, devono superare un difficile esame di ammissione che negli anni ha preso il nome, non particolarmente felice, di “selezione”. È un esame che si svolge sostanzialmente in due momenti: la prova di gigante a tempo e la prova di dimostrazione sugli archi di curva. Nelle selezioni italiane la prova di gigante è molto temuta. Il grosso della “selezione” avviene proprio attraverso essa. Perché è una gara vera e propria: lunga, oltre il minuto; difficile, su pendii ripidi e in genere ghiacciati; impegnativa, tracciata come si traccia una gara di alto livello. Per passarla, bisogna stare entro un certo distacco dal tempo di un dimostratore che quasi sempre è un ex atleta delle squadre nazionali. Di primo acchito sembra di più una prova per aspiranti allenatori che per futuri maestri di sci che devono saper dimostrare ai propri clienti come si scia in sicurezza. E poi, piccola polemica, le altre nazioni mica la fanno tosta come noi, rinviando tutto all’Eurotest, che è un’altra prova di gigante, in genere e nei fatti, però, meno difficile, che si deve superare per poter essere iscritti all’albo professionale dei Maestri di Sci. Ebbene, a volte viene da chiedersi perché sia necessario un gigante così difficile come prova di selezione. Perché non sia più giusto fare un gigante da cui possa passare anche chi non fa più l’atleta ma è comunque un eccellente sciatore. Rispondere dicendo, come si dice, che la prova di gigante è la prova tecnica per eccellenza è dire tutto e anche nulla e forse, sotto sotto, è anche affermare una cosa non proprio esatta: quanti sono quelli, si pensi ai master, che vanno forte in gigante e non sono certamente ottimi sciatori? E allora che cos’è la prova di gigante nell’ambito dell’esame per maestri? Provo a spiegarla con un esempio preso da uno scrittore. Se qualcuno scrivesse “il maestro Gamba cade e si rompe la medesima”, lo scrittore Camon, già professore d’Italiano, gli darebbe un bel “4”. Eppure non ha commesso nessun errore lessicale, né sintattico, ha perfino evitato la ripetizione, usando un pronome e quindi dimostrando una certa sensibilità stilistica. Ma l’errore c’è, eccome, ed è di tipo logico. È un errore del cervello. Chi ha scritto una frase del genere non ha compreso che il “maestro Gamba” non potrebbe mai firmarsi “maestro arto umano” senza passare per deficiente. Questo è un errore, come abbiamo detto, che non origina dallo studio, infatti la grammatica è corretta, ma dalla mancanza di pratica nella decodifica delle parole, ovvero dalla mancanza di letture. Chi fa questo genere di errori ha studiato l’essenziale ma ha letto poco. Ecco, la prova di gigante non mette in risalto la conoscenza tecnica, cioè grammaticale, della curva, che si vede piuttosto nella prova degli archi, ma quanto lo si è praticato. Chi sta fuori dal gigante, ne ha fatto semplicemente poco. La tecnica c’entra, ma meno di quello che si crede. Prova ne è che è capitato di vedere un giovane selezionando, fresco di semplici allenamenti da sci club, segnare un tempo migliore di quello del tecnicamente impeccabile dimostratore. Una superiorità, invece, che non si è mai verificata nella prova degli archi dove la sapienza tecnica fa sempre la differenza. E allora, se così è, possiamo arrivare a due conclusioni: innanzitutto la prova di gigante deve fare meno paura di quanto in sé ne faccia. In fondo basta allenarsi e buttarsi giù a tutta e in qualche modo stare in piedi. E poi, se così è, c’è spazio per iniziare una riflessione per riconsiderare la prova del gigante stesso nel suo insieme, magari semplicemente mettendola per seconda, dopo la prova sugli archi, in modo da poter valutare prima chi ha acquisito la tecnica e poi chi ha fatto sufficiente pratica di gigante.

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