Quando eravamo mondo

Pubblicato in Il nostro campanile, dicembre 2014

Dal 4 al 20 ottobre a Palazzo Barbaran di Castelgomberto si è tenuta la prima personale dedicata alle sculture di Giorgio Guasina; il 10 ottobre nel salone d’onore, una conferenza a più voci ha raccontato oltre allo scultore, l’architetto e il poeta Giorgio Guasina. Riportiamo alcuni passaggi dall’intervento di Luigi Borgo.

Dovremmo partire da una riflessione su cosa sia stata la nostra valle nel XX secolo per conoscere l’opera di Giorgio Guasina e il respiro europeo della sua ricerca estetica. Giorgio Guasina nasce a Recoaro nel 1932 e ha solo 13 anni quando la Seconda guerra mondiale finisce e ripartono a Valdagno i lavori della Città dell’Armonia che erano iniziati un quindicennio prima. È una valle, quella del secondo dopoguerra, in grande fermento. A Recoaro lo stabilimento d’imbottigliamento delle acque riprende le sue attività e s’ingrandisce allargando il suo mercato su tutta la Penisola; a Valdagno i lanifici Marzotto continuano a essere il polo tessile più importante d’Europa mentre l’Jolly Hotels è la prima e più importante catena alberghiera d’Italia. Nella grande fabbrica si producono tessuti per il mondo, negli hotel del Jolly soggiornano turisti provenienti da tutti i paesi del mondo.
Nel 1948 Valdagno è una città che sta crescendo e Giorgio Guasina, per recarsi al liceo classico cui è iscritto, passa da un cantiere all’altro. Tra quella fitta selva d’impalcature ce n’è una che lo incanta. È quella del Teatro Rivoli, dove non un architetto né un ingegnere ma un artista, Giuseppe Santomaso, sta edificando una nuova facciata composta solo di ceramiche verdi, lucenti, riflettenti. Se Recoaro è per Guasina soprattutto paesaggio e natura (quella natura che aveva incantato Nietzsche), Valdagno è arte e cultura (quella della fabbrica, dei Premi Marzotto, della Città dell’Armonia). Questo binomio, dato dal paesaggio di Recoaro così forte, così intenso, così estremo e dalla cultura del lavoro di Valdagno così moderna, così alta, così internazionale, sarà sempre una componente essenziale della sua architettura e poi della sua attività d’artista.
Quando Guasina progetta il rifugio di Monteflacone, il binomio natura-cultura emerge in tutta la sua potenza. L’idea è quella di realizzare una nuvola. Una nuvola di cemento in cui si possa salire e dall’interno vedere a 360 gradi il panorama attorno. La cima di Montefalcone è il punto della linea di livello dei 1700 metri di altitudine più a sud di tutto l’arco alpino, quindi esso non è un monte qualsiasi ma il punto geodetico più incuneato nella Pianura Padana, dal quale si possono vedere le Dolomiti quanto gli Appennini come da nessun altro posto. Giorgio Guasina ha realizzato quel rifugio dalle pareti tutte di vetro per offrirci l’emozione di trovarci, come in volo, sopra la Pianura Padana. Progettato alla fine degli anni Sessanta, il rifugio Montefalcone è un’opera di livello mondiale così come sarà tutta la sua architettura e poi la sua scultura. (…) Il suo impegno d’artista è stato quello di continuare quel fare e quel pensare d’eccellenza in cui era cresciuto e in cui si era formato. Le sue case come le sue sculture nascevano in provincia ma non erano affatto provinciali. Per 50 anni Giorgio Guasina si è sentito dentro a questa storia e ha fatto fino in fondo la sua parte perché la valle non perdesse l’eccezionalità del suo pensare, del suo lavorare.
Negli ultimi anni, tuttavia, avvicinandosi alla poesia Guasina esprime la profonda delusione per un bilancio senile della propria vita di militante della bellezza fondamentalmente negativo: sente che la sua architettura non è stata capita, che la sua scultura è stata frettolosamente relegata nell’artigianato artistico; capisce di essere stato escluso, non compreso, perfino non usato in tutto quello che il suo genio ha dato e che, se sostenuto, avrebbe potuto dare. Il suo impegno etico ancor prima che estetico di offrire tutto se stesso perché la valle continuasse a essere un luogo di pensiero e d’intelligenza, di bellezza non solo naturale, non è valso a nulla. Vede la sua valle perdere uno dopo l’altro tutti i primati che l’avevano resa unica al mondo. Assiste al suo inesorabile sprofondare nell’anonimato, nell’irrimediabile provincialismo delle opere, delle parole. Ci sono due date che segnano l’inizio di questo declino: 1961, costruzione del palazzo della Ciatsa che di fatto pone fine a Piazza Verdi, la più grande ed europea piazza della Valle dell’Agno; e 1963, demolizione della parete di Santomaso del teatro Rivoli per farne appartamenti. Valdagno, che nell’immaginario di Guasina era la città della cultura e dell’arte, tradisce se stessa. Nella valle l’arte non è più una presenza: meglio un palazzo di una piazza, meglio un condominio come tanti di una facciata artistica unica al mondo. Negli anni Novanta, Valdagno ha rifiutato la donazione Meneguzzo; negli anni Duemila l’amministrazione di Recoaro non ha mai preso in considerazione l’idea di realizzare un bosco (tra i troppi che vi sono) affinché Giorgio Guasina potesse collocarvi le sue opere. Oggi il rifugio di Montefacone ha le pareti di colore giallo com’erano i piloni della vecchia seggiovia, quelle pareti per le quali Guasina aveva usato tavole di legno scelte una a una perché le loro venature improntassero il cemento in modo da renderlo natura, renderlo vivo; oggi per una manciata di euro il tetto di quel rifugio che era la nuvola dalla quale si potevano vedere le Dolomiti e gli Appennini, è una volgare base per antenne. Quando un paese dimentica la sua storia, quando non riconosce le sue opere e i suoi artisti, quello è un paese finito.

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