Prima triste, poi felice
Pubblicato su sportivissimo, guigno 2014Cambierò pensiero nel corso del mio ragionamento, alla fine mi contraddirò. Un grande poeta a questo proposito ha scritto: mi contraddico? Ebbene, sì, contengo moltitudini. Come a dire che non è sempre da imbecilli cambiare idea. Ho provato rammarico (alla fine quindi sarà piacere) per quanto si è verificato nelle ultime elezioni amministrative comunali nelle nostre valli, dove, per la riduzione imposta dal governo Monti degli assessorati da 7 a 5 nei comuni sotto i 30 mila abitanti, non abbiamo più gli assessori allo sport e alla cultura. Ovvero non abbiamo più una persona che si curi specificatamente delle attività sportive e culturali, che sono state relegate, come tutte le altre funzioni amministrative, nelle cosiddette “deleghe” a carico dei 5 assessori rimasti. Sport e cultura, quindi, come bilancio e tributi, come edilizia pubblica e privata, come politiche ambientali e sociali, come qualsiasi altra normale attività amministrativa della città. Che è un errore, un grave errore di concetto, perché così si è confuso una pratica amministrativa che è un’azione per la città con una pratica formativa che è un’azione per i cittadini! Lo si può capire bene se confrontiamo la città con lo zoo. Le città sono governate perché vi possano abitare gli uomini. Gli zoo sono amministrati, che è la stessa cosa di dire “governati”, perché vi stiano gli animali. Ciò che differenzia una città da uno zoo non è per il fatto che nella prima si fa il bilancio e nella seconda no. Anche chi gestisce uno zoo fa il bilancio, così come ha dei tributi da onorare, un’edilizia da gestire, una politica ambientale e una economica e, perfino, una sociale (la convivenza tra animali) da perseguire, e poi anche ha un aspetto commerciale-turistico (dalle magliette dello zoo ai peluche, dal bar al ristornate) da tenere ben vivo. Ciò che differenzia una città da uno zoo è la stessa cosa che differenzia un uomo da un animale: il primo cerca e lotta per il proprio miglioramento, il secondo no, gli basta campare. Per questo, perché gli uomini potessero soddisfare la loro necessità di migliorarsi, gli antichi greci dotavano le loro città, le polis, di palestre e stadi, di teatri e accademie in cui ogni singolo cittadino poteva crescere forte e in salute come un atleta, capace di pensare in modo libero e autonomo come un filosofo. Noi moderni forse non l’abbiamo mai davvero capito a cosa avrebbero dovuto servire lo sport e la cultura pubblica ma, dotandoci degli omonimi assessorati, ci illudevamo di essere continuatori del modello classico e tanto bastava. Adesso ahimè (poi sarà un evviva!) l’antico ideale civico della polis greca, nel nome del quale, ripeto, attraverso l’educazione sportiva e culturale, il cittadino partecipava alla vita della città stessa e maturava la sua crescita come individuo, è stato definitivamente messo da parte. La città non sarà più il mezzo per la realizzazione dell’uomo come persona ma una cosa a sé, un luogo di residenza possibilmente con il bilancio in ordine… come uno zoo qualsiasi.
Poi sono passati i giorni, sono arrivate le ultime notizie sullo sport che non sono buone: a Schio si chiuderà il centro del Coni, a Valdagno la piscina coperta. Più penso allo sport e alla cultura più mi rendo conto che in Italia non è mai esistito un progetto di sport e cultura pubblica. Gli stadi di calcio come le piscine come le palestre sono ormai tutte strutture private, le attività giovanili sono nella loro totalità da sempre in gestione alle associazioni private. Solo i musei e i teatri sono ancora per lo più statali, ma non ce n’è uno che non sia una spesa doppia per la collettività, biglietto più continui contributi statali di sostegno. Le nostre città forse hanno creduto di essere espressione delle antiche polis ma non hanno mai avuto un disegno politico e i mezzi finanziari per esserlo davvero. Che lo sport e la cultura quindi siano finiti tra le “deleghe” amministrative ci fa uscire definitivamente dal sogno classico, dall’ideale umanista della città come luogo di cultura e sport, in cui ci eravamo illusi di vivere. Dobbiamo esserne felici; dobbiamo essere felici perché, da adesso, sarà ben chiaro a tutti, cittadini e Stato, che la nostra educazione sportiva e culturale è solo un affare nostro e delle libere associazioni sportive e culturali di cui facciamo parte, proprio come in fondo è sempre stato. Allora, dopo gli assessori, mi aspetto che non ci siano più né il Coni, né il Ministro della Cultura, rottamati anch’essi con il Senato. Se non è una buona notizia, questa?
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