Una figura di Maya
Pubblicato su Sciare Magazine, gennaio 2013I Maya o chi per essi hanno firmato una super frottola. L’ennesima dichiarazione che il mondo sarebbe finito si è rivelata l’ennesima bufala. Non è la prima volta che la vita degli uomini è stata data per spacciata. La più famosa fu quella dell’anno Mille: “Mille e non più Mille” si diceva. Mille e più anni dopo siamo ancora qua. Agli uomini non è dato di prevedere il futuro. Dovremmo farcene una ragione! Agli uomini piace, però, fare del catastrofismo. Dovremmo saperlo! Proviamo piacere a darci per spacciati. Godiamo a dichiarare finito il nostro tempo. Ne abbiamo fatto perfino una delle nostre più efficaci tecniche di marketing. Scaricati l’App, perché il giornale su carta ormai è morto. Quando sono diventato maestro di sci, si stava diffondendo lo snowboard e tutti mi dicevano che lo sci si sarebbe estinto da lì a breve. I giovani faranno tutti lo snowboard. Non è stato così. I giovani leggeranno tutti sull’iPad, non sarà così. Lo snowboard non ha ucciso lo sci perché semplicemente sci e snowboard sono due modi di sciare diversi che sottintendono emozioni diverse. Ci sono quelli a cui piace più l’uno, quelli a cui piace più l’altro e quelli a cui piacciono entrambi. Funziona come per il vino rosso e il vino bianco che nella loro diversità di sapore convivono benissimo, senza farsi fuori a vicenda. Il principio di sostituzione ha un’applicabilità esatta: scatta solo nel caso in cui il nuovo comprende e migliora tutte le caratteristiche funzionali del vecchio. E’ stato così per il calesse, abbandonato a vantaggio dell’autoveicolo; della musica su vinile a vantaggio di quella su CD e oggi su iPod; degli sci sciancrati su quelli dritti. Dove, però, c’è una pur minima differenza, il principio di sostituzione non funziona. Il fun carving non ha eliminato lo slalom, se mai l’ha arricchito; il super g non ha cancellato le discese libere; lo skating, il passo alternato. Ebbene tra la parola scritta su carta e quella scritta su video, la differenza è così enorme che mai la seconda cancellerà la prima. Ed è una differenza innanzitutto di profondità. Lo studio e l’attenzione che ha la parola su carta, non ce l’ha quella su video. Quando, infatti, si legge su carta, si legge un documento che rimane immutabile durante e dopo il tempo di lettura, dato che una volta stampato e distribuito quello è il testo e quello rimarrà per sempre per tutti coloro che l’avranno letto. È il celebre scripta manent. Quando si legge sul video, invece, non si legge un documento immutabile ma qualcosa che può in ogni momento essere cambiato e quindi ciò che si è appena finito di leggere può già essere stato corretto in un successivo aggiornamento. Una specie di versione moderna dell’altrettanto celebre verba volant. Le conseguenze a questo punto sono due: per chi scrive, un errore, per quanto innocuo, in un caso pesa, perché resta, nell’altro non è un problema, perché si corregge in seduta stante; per chi legge, l’impegno della lettura su carta è gratificato dall’acquisizione di un sapere che si percepisce più vero, più alto, più libero (perché difficilmente censurabile, perché indipendente da supporto hardware e da aggiornamenti software) che la lettura su video non dà. E’ scontato allora che la scrittura su carta sia più lenta, più pensata, più impegnata, più profonda della scrittura su video. Ne possiamo concludere che l’una è come il denaro su carta mentre l’altra è come il denaro su tessera bancomat: il primo esprime un potere tangibile; l’altro aleatorio; il primo rende libera la gestione del nostro denaro, il secondo no. Morale? Dobbiamo smetterla con le dichiarazioni di fine di alcunché sulla scorta dell’infatuazione per l’ultima tecnologia arrivata. Non si è moderni affatto ricorrendo alla medioevale pratica di fare del catastrofismo. Dobbiamo imparare, invece, a far convivere ciò che ci offre la nuova tecnologia non eliminando a priori la vecchia, quando questa conserva valori che la prima oggettivamente non ha. Il vero arricchimento è di servirsi di entrambe, della parola profonda e del suo mezzo, il giornale, e della parola veloce e del suo mezzo, l’App. Perché fare i catastrofisti, mille volte su mille, si fa una figura di maya!
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