Pensiero unico

Pubblicato su Sportivissimo, maggio 2012

Dicono che i nostri mali economici odierni dipendano, nel profondo, dal fatto che siamo finiti dentro al vortice di una svolta epocale. Quella specie di fenomeno che è accaduto non più di due, forse tre volte nell’arco del precedente millennio e che, quando avviene, ha la forza di cambiare in modo netto il corso della storia fino a trasformare la visione del mondo e i costumi delle genti. Una svolta epocale fu la Rivoluzione Francese che pose fine ai governi dei re e mise le basi per le democrazie che oggi conosciamo; un’altra fu la Rivoluzione Industriale che da contadini ci fece diventare operai e, con la produzione in serie di oggetti, ci trasformò da possessori di pochissime cose a possessori di un gran numero di cose. La svolta epocale che stiamo vivendo, ha un nome che conosciamo da tempo ed è quello di “globalizzazione”. Un pianeta che prima era diviso in tante realtà, una diversa dalle altre, è diventato una sola grande realtà. E questo ci ha messo sottosopra, facendo saltare in aria tutti i nostri equilibri. Era prevedibile. Anche dopo la Rivoluzione Francese o quella Industriale vi furono grandi scompigli e incertezze economiche e ci volle del tempo perché si maturassero i benefici che da esse si generarono. Il problema della “globalizzazione” è che abbiamo un unico sistema-mondo, ma non un unico modo di pensare all’interno di esso. Il che vuol dire che siamo, di fatto, un tutt’uno ma che, sempre di fatto, non abbiamo ancora nulla che ci unisce. Ci manca una cultura condivisa, un pensiero comune sui valori che ci faccia sentire davvero affini. Faccio un esempio: in un’epoca globale dovrebbe esserci uno scrittore globale. Ma come può esistere oggi uno scrittore globale, quando in occidente il grande scrittore, da Dante in poi, è sempre stato identificato in colui che incarna la coscienza critica della propria nazione, mentre in Cina il grande scrittore, da Tu Fu in poi, è colui che più di tutti interpreta l’armonia sociale? Questa diversità culturale profonda, che non permette, almeno per il momento, l’esistenza di una voce letteraria capace di farsi interprete unica dell’intero pianeta, si ritrova in tanti o forse in tutti gli altri ambiti, da quello politico a quello religioso, da quello sociale a quello economico.
Tuttavia c’è un’eccezione; c’è un pensiero davvero unico, condiviso da tutte le genti di tutti i paesi del mondo, ed è il pensiero sportivo. Esso preesiste alla globalizzazione, essendosi formato e diffuso quando ancora nessuno parlava di mercato globale. I suoi valori sono solidi, universalmente riconosciuti tanto che, se a oggi non esiste ancora la possibilità di uno scrittore globale, sono decenni che nello sport esiste il titolo di “campione del mondo”. Lo sport è riuscito a far sì che i 100 metri e il pingpong fossero praticati nello stesso modo in Occidente quanto in Oriente, come nessun’altra attività o pensiero umano è riuscito a fare nei propri rispettivi ambiti, siano quelli della politica, della religione, della società, dell’economia. Gli sportivi di ogni luogo, di ogni razza e cultura hanno saputo condividere il linguaggio della ricerca tecnica, della fatica, dell’impegno, della competizione leale e in nome di ciò hanno saputo darsi regole che permettono di vivere la globalizzazione sportiva in modo corretto e sereno.
Se la globalizzazione, in specie dei mercati, è quella svolta epocale che ha fatto saltare in aria i nostri equilibri economici, beh, sarebbe opportuno che si cominciasse a studiare sul serio il fenomeno sport, unico e autentico pensiero globale prodotto dal genere umano, affinché anche le sfide dei mercati abbiano quell’equità e quella legittimità che da sempre hanno le sfide sportive.

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