Noi, anime del Purgatorio

Pubblicato su Sportivissimo – aprile 2011

Chi fa sport – ho scritto qualche mese fa – è migliore di chi non lo fa. Ne davo le spiegazioni contingenti, non ho cambiato idea, e adesso ne do anche le spiegazioni metafisiche, in un percorso che dal facile va al difficile, come c’insegna il progress sportivo.
Apro una parentesi: fare sport è tra le poche attività in cui si deve necessariamente rispettare ancora la regola aurea dell’apprendimento per gradualità, ovvero dell’imparare per livelli: s’inizia con le cose semplici, i percorsi brevi, le piste facili, poi si passa a quelli un po’ più difficili in un crescendo che, step by step, non dà limiti alla propria performance. Oggi, per esempio, molti dicono di non capire la musica classica contemporanea, la pittura contemporanea, la letteratura d’autore colpevolizzando gli artisti di usare codici comunicativi incomprensibili. Nello sport, per la sua abitudine ad imparare per gradi, giudizi di questo tipo non esistono. Chi in montagna fa al massimo le ferrate, non dà del pazzo a chi fa il 7A, ma, anzi, ne ammira le capacità superiori. Evidentemente coglie, nel diverso livello prestazionale, l’affinità tra il suo salire usando tutta la mano per l’appiglio sicuro sulla scala di ferro e quello di chi sale usando soltanto la falangetta per il micro appiglio di una falesia strapiombante e liscia come il vetro. Sentirsi vicini e simili, non estranei e lontani significa essere dentro la stessa storia, la stessa cultura, la stessa passione, per cui allo sportivo non capita di denigrare ciò che lui non sa fare ma di ammirarlo; egli non parla mai, quindi, senza sapere di cosa sta parlando, perché, anche in minima parte, ne ha diretta esperienza. Viceversa molti di quelli che giudicano la musica e l’arte contemporanea incomprensibili spesso non hanno compiuto nessun percorso di autentica condivisione, di avvicinamento graduale. Chiusa parentesi.
La spiegazione metafisica dell’eccellenza degli sportivi, secondo me, sta nell’avere, tra tutte le categorie dei viventi, una spiccata affinità con le anime del Purgatorio. Dei tre regni dell’Aldilà – Inferno, Purgatorio, Paradiso – il Purgatorio è un caso dottrinale unico. La Bibbia non ne parla, né nell’Antico né nel Nuovo Testamento ricorre il suo nome. Di esso s’inizia a scrivere solo mille anni dopo la nascita di Cristo, nel pensiero filosofico-religioso del medioevo e, soprattutto, nella letteratura. E’ Dante principalmente a farcelo conoscere e amare fin dalle prime sue pendici, dove incontriamo, come custode d’eccezione, Catone Uticense, colui che preferì darsi la morte piuttosto di sottomettersi alla tirannide, simbolo quindi di libertà politica ma anche, cosa davvero straordinaria per un luogo dell’Aldilà, simbolo e custode del libero arbitrio, ovvero della libertà dell’azione umana nei confronti del proprio stesso Creatore; e poi con gli incontri dei “dolci amici”, con i Maestri di vita… Il Purgatorio è un luogo umanissimo, in cui quello che conta, e che ce lo fa preferire, non è tanto il fatto che qui le anime si purgano dai peccatucci commessi in vita, (poca roba e appunto perdonabili, sebbene siano ascrivibili ai Peccati Capitali) ma perché sul monte del Purgatorio le anime vivono l’intima necessità di salire, di andare più in alto. Di migliorarsi. Ecco, dov’è l’affinità con gli sportivi. Come le anime del Purgatorio, chi fa sport vive nella tensione senza sosta verso l’alto; gli sportivi vivono una lotta senza sosta per il proprio miglioramento, qualunque esso sia.
Riapro la parentesi di prima: imparare per livelli, è credere nel proprio miglioramento, in una parola credere in se stessi. Vivere, ovvero, non nella convinzione di essere dei buoni a nulla, condannati alla propria inettitudine, né vivere – come i più oggi – ritenendo di essere degli eletti, già arrivati nell’empireo del proprio rendimento, ma vivere credendo che, attraverso l’autodisciplina, il lavoro e la fatica, domani saremo migliori di quello che siamo oggi. Chiusa parentesi e anche la polemichetta.

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