Titoli di poco titolo
Pubblicato su Sciare – 2009Il titolo di laurea breve e il titolo di allenatore di club, se fosse per me, li annullerei. Mezzi dottori e mezzi allenatori sono, non occorre nemmeno spiegarlo, titoli che fanno un po’ ridere. O si è o non si è parte di una categoria. Esserlo a metà, uno sci da allenatore e l’altro da maestro, è umiliante per chi lo è; è svilente per chi ha entrambi gli sci nel titolo maggiore. Un nonsenso che ha generato confusione dove doveva portare distinzione. Nello sci non è la prima volta che accade. Un tempo anche i maestri erano divisi per categoria. C’erano quelli di terza, di seconda e quelli di prima. Il mercato, però, non le considerò mai. Nessuno richiedeva e meno che meno riconosceva economicamente un maestro di prima rispetto a un maestro di terza, e alla fine, giustamente, vennero eliminate. Il mercato non è l’amministrazione pubblica, unico e ultimo baluardo in cui i titoli contano meno delle loro molteplici sottovarianti. Il mercato non bada ai cavilli, al massimo riconosce i dottori, i maestri, gli allenatori, quando non se ne cura addirittura per guardare la sostanza dei risultati. Capire questo è salvaguardare l’importanza dei titoli come indicatori di un percorso formativo chiaro. Non capirlo e cogliere altre ragioni si rischia di bruciarli per sempre. Come nel caso dell’istituzione della laurea breve, imposta per reazione alla solita indagine europea che poneva l’Italia al penultimo posto per numero di laureati, davanti alla sola Turchia. Ma aver aumentato il numero dei dottori, abbassando la durata della formazione, concorderete, non è aver cambiato la sostanza delle cose. Gli italiani non sono per questo diventati uno dei popoli più istruiti del Pianeta. Se mai, è più probabile il contrario: tanti dottori poco colti. La stragrande maggioranza degli allenatori, patacca rosa, patacca blu, lavora nei club. Realisticamente non vedo per il futuro altra soluzione. La distinzione, quindi, non è nelle cose ma solo sul piano meramente teorico. E questo è un pericolo, perché se a un dato titolo non corrisponde una sua applicazione diretta nella realtà, il titolo perde inevitabilmente di valore, riconosciuto solo dall’istituzione che l’ha promosso e dai pochi che ne sono coinvolti. Mentre il mercato, che un tempo si chiamava popolo, non sa nemmeno di cosa si stia parlando.
“Dottore” era, nel medioevo, il doctores ecclesiae per l’autorità che la sua dottrina aveva tra i fedeli. Poi, “dottore”, lo divennero i medici, per le loro opere di guarigione. La gente intravedeva un nesso tra i teologici, che s’intendevano di miracoli, e i medici, cui a volte i miracoli riuscivano mentre non capì perché un letterato, nome bellissimo e chiarissimo, dovesse essere chiamato con un nome bruttissimo e ambiguo come dottore in lettere (e cartoline) (dal latino “Litterae”, al plurale, ovvero un latinismo che nessuno ricorda più).
I maestri hanno capito che la loro professione andava tutelata fin dal nome e si sono salvati, tant’è che oggi maestro di sci è un titolo riconosciuto perché chiaro. Gli allenatori devono fare altrettanto per non fare la fine dei dottori, titolo scomparso perfino dai biglietti da visita.
Leave a Reply