Sport e Gioco

Pubblicato su Sciare – marzo 2008

Da quando ci sono i master, mi ronza nelle orecchie la frase di Benedetto Croce che dice: “a 18 anni tutti scrivono poesie, poi chi continua a farlo o è un poeta o è un cretino”. Anche l’agonismo ha una sua età ideale, dopodiché può diventare ridicolo. E a questo proposito Nabokov faceva notare che tra il lato cosmico e il lato comico delle cose, la differenza è data da una sibilante, la stessa, guarda talvolta il caso, che se tolta dalla parola ‘master’, ci riporta di filato nell’atroce verità della frase di Croce: a 30 e più anni chi fa ancora gare o è un campione o è un eterno mammone. Da quando sono master, trovare una via di uscita da questo impietoso giudizio è uno dei miei principali crucci. Ci perdevo le notti, si fa per dire, fino a quando non ho trovato la soluzione. Va recuperata, ritengo, la distinzione tra ‘sport’ e ‘gioco’, che non è per niente una distinzione così evidente. Sono infatti sport lo sci, lo snowboard, il fondo e tanti altri che rientrano nelle discipline dei Giochi Olimpici mentre sono giochi il golf o gli scacchi che invece non ne fanno parte. Certamente, sport e gioco, sono il dono di due civiltà nel loro massimo splendore, la Grecia Classica e l’Inghilterra del Commonwealth: alla prima dobbiamo gli sport dell’atletica e i Giochi Olimpici, alla seconda il gioco del golf e lo sport dello sci alpino. La storia non ci aiuta a distinguere tra ‘sport’ e ‘gioco’. E chi dice che sia la presenza o meno della fatica o il suo effetto umano, il sudore, il possibile discriminante, deve fare i conti con il tennis, chiamato gioco ma considerato sport. La conclusione è che la distinzione originaria, se c’era, ha perso oggi di significato, e così scopriamo che ogni disciplina è al tempo stesso sport e gioco. Allora potremmo chiamare sport la pratica dello sci nella sua espressione giovanile e massima; e gioco lo sci in età master. Le logiche e lo spirito sottointeso sarebbero perfette anche per un pignolo come Croce. Dove, infatti, nello sci sportivo l’agonismo è ragione di vita, amletica lotta tra essere e non essere campione, dove a ogni curva corrisponde un progetto e un grande sogno di futuro, nello sci come gioco la competizione è semplice divertimento, sfida gioiosa tra amici appassionati, svago e sfogo da un mondo del lavoro sempre più psicopatico e snervante. Con questa distinzione, ogni possibile schizofrenia master verrebbe a cadere. Nessun vecchietto con la coppa in mano potrebbe fare la figuraccia di atteggiarsi come il nuovo Tomba. Non glielo sarebbe permesso a priori. Perché, ecco il punto che Croce non potrebbe non condividere, chi conosce i propri limiti, dal mito delfico in poi, non è certo un cretino.

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