La lunga marcia della caccia

Pubblicato su Sportivissimo – novembre 2007

Da uomini liberi come siamo, riconosciamo alla caccia di essere oggi lo sport più credibile che ci sia in Italia. Sono così tante le regole che la disciplinano e gli arbitri che le fanno rispettare che non solo è lo sport più corretto ma è lo sport che più di ogni altro ha messo alla prova l’effettiva passione dei suoi praticanti. Dire di amare la caccia oggi è come osare di dire che l’inverno entrante farà freddo o la prossima estate sarà piovosa. Ti chiedono dove vivi. L’ecologismo è una variante ormai nota del fondamentalismo ambientalista, l’ultima grande ideologia dell’Occidente. Quando ho letto che Al Gore aveva vinto il Nobel per la pace sono stato felice. Da tempo pensavo che se lo meritasse per lo spirito nobile, direi, sportivo, con cui ha accettato la sconfitta alla corsa a presidente degli Stati Uniti dopo quella cosa poco chiara che è stato il voto della Florida. Un esempio sublime di comportamento democratico. Sono stato meno felice, quando ho capito che il potente movimento ecologista voleva il suo re e il Nobel ne è stata la cerimonia d’incoronazione. Non c’è ideologia senza un “lider maximo” e il fondamentalismo ambientalista era andato avanti anche troppo senza. Se si votasse oggi il referendum sulla caccia per cui abbiamo votato il 3 giugno del 1990, l’esito sarebbe diverso. Da uomini liberi come siamo, dobbiamo ammettere che in questi diciassette anni i cacciatori si sono dati da fare per diventare dei disciplinati uomini di sport, obbligandosi a dedicare delle giornate al mantenimento dell’ambiente venatorio, a comunicare i capi abbattuti, a provvedere al ripopolamento delle specie cacciate. Da uomini liberi come siamo, dobbiamo invece constatare che nello stesso arco di tempo l’ecologismo si è fatto sempre più radicale e grossolano nelle sue denunce. Lo sci uccide i ghiacciai. La mountain bike deturpa i sentieri di montagna. Uno spit buca la roccia e fa crollare le montagne. La neve artificiale è peggio dell’anticristo. Lo smog di Milano sta uccidendo la povera erba di San Siro. Chi non usa carta riciclata è un killer. Una delle facce del fondamentalismo ecologista è essere cattivi con chi la pensa nello stesso modo, ma con certi distinguo, e di essere addirittura dei buonisti, ovvero buoni fino al ridicolo, con il mondo vegetale-animale. Nell’estate del 2006 si alzò un putiferio per la questione dei bamby in Piemonte. Ce n’erano così tanti che minacciavano l’ambiente floristico e distruggevano l’agricoltura peggio delle locuste e delle cavallette messe assieme. Si trattava di portarne una parte dal Piemonte in Calabria, attraverso il percorso inverso degli emigranti che andavano a lavorare alla Fiat. E’ insorto il mondo. Sradicare un bamby dal suo habitat, scherziamo? Chi tentava di far capire che era più una presa in giro quella che subivano gli operai calabresi che s’infilano in una fabbrica come Mirafiori, dove di fiori non c’era davvero uno, rispetto allo sradicamento del povero bamby che dal Piemonte poteva zampettare tra i pascoli verdi dell’Aspromonte, dove di aspro per lui c’era davvero poco, passava per uno spirito grossolano che non capiva la differenza tra una libera scelta, quello dell’operaio calabrese che sperava in un futuro migliore sotto la Mole, e una deportazione veteronazista, quella che subiva il povero bamby. Per alcuni Ceausescu è passato alla storia perché massacrava centinaia di orsi per vanto. In verità ha massacrato più uomini. E Hitler, che se ne intendeva di deportazioni, era, tanto per dire, vegetariano. Ma la questione è leggermente più profonda. Da uomini liberi come siamo, dobbiamo riconoscere che dietro alla caccia c’è il nostro essere carnivori, c’è l’antichissima lotta per nostra sopravvivenza. E’ un fatto. Senza la caccia ci saremmo estinti. E al posto nostro oggi ci sarebbero i Dinofelix che amavano cibarsi di uomini. Ed è un altro fatto che sia stata proprio l’arte della caccia il nostro primo contenuto culturale, disegnato su tutte le caverne abitate dai nostri antenati. Da uomini liberi come siamo, dobbiamo invece sapere che dietro al pietismo per il bamby emigrante c’è Walt Dysney o al massimo le oche di Lorenz. E chi dice che anche agli uccellini bisognerebbe dare un fucile, dovrebbe saperci dire se è il caso di dare un cervello come il nostro anche alle tigri e ai leoni. Ma la nostra vera storia, comuqnue, è la prima. E questa ci ha insegnato che con l’ideologia si sono sempre fatti grandi danni, mentre con le regole civili qualcosa si è progredito.

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